Robert Schumann – Papillons Op.2

Piccoli Quadri in Musica

Wilhelm KempffL’Op. n.2 per pianoforte, il cui titolo è  Papillons, non deve trarre in inganno, come accadde ai contemporanei dell’autore. Schumann non intese descrivere la fragilità o la leggerezza tipica delle farfalle, ma ben altri aspetti, ovvero quelli presenti in un’opera letteraria, un libro, il cui titolo era Flegeljahre (Anni scapigliati) dello scrittore Jean Paul: Schumann nutriva un’ammirazione sconfinata per questo autore fin dall’adolescenza. Il libro, ricco di mistero e di immagini emblematiche, raggiunge il culmine nell’ultimo capitolo, quando i tre giovani protagonisti, Walt, Vult e Vina, partecipano a un ballo mascherato, luogo simbolico per eccellenza, dove realtà e finzione si fondono e dove la molteplicità dell’animo umano può finalmente incarnare or l’uno or l’altro ‘io’ che la compongono. Probabilmente ebbe inizio qui il tema del ‘doppio’ tanto caro all’autore. Tale tema lo porterà e immedesimarsi in due personaggi (Florestano ed Eusebio) raffigurante due entità antitetiche, l’una passionale e l’altra contemplativa, entrambe presenti nell’anima dell’artista. Ad essi se ne aggiungerà un terzo, il Maestro Raro, simbolo di equilibrio e di razionalità. Alcune composizioni future dell’autore verranno di volta in volta contrassegnate dalla sigla del ‘personaggio’ che le ha create, quasi a suggellare la temporanea identificazione di Schumann con uno dei suoi ‘io’. Proprio l’immagine simbolica della maschera, come tramite per conoscere la verità, fece scaturire dalla mente di Schumann i 12 brevi brani che compongono i Papillons, quasi una ‘musica a programma’.

Breve Analisi
Una breve introduzione di sole 6 battute, che si conclude esitando, ci introduce in un clima che è allo stesso tempo festoso e malinconico. La prima “immagine” musicale è un valzer dolce, in cui la luminosità della melodia è impreziosita dall’accentuazione della sensibile, prima di arrivare alla tonica che conclude la prima frase. Questa è l’idea generatrice della parte centrale del brano, in cui la reiterazione del semitono crea una pausa suggestiva prima della riapparizione conclusiva della melodia iniziale. Un velocissimo e vibrante fremito costituisce il secondo episodio, a cui Schumann contrappone immediatamente il terzo, rigoroso e marziale. La melodia priva di accompagnamento è in minore e viene eseguita in ottava dalla mano sinistra. Risponde la mano destra, che la trasporta alla regione acuta del pianoforte e la rischiara con il passaggio al modo maggiore. La sovrapposizione delle due mani a canone porta alla conclusione. L’atmosfera di danza si fa sempre più suggestiva: man man che ci si addentra nella composizione, si ritrovano ritmi smaglianti carichi di giovanile esuberanza, ricordi di polacche, pause di composta riflessione, attimi brevissimi ma pervasi da una poesia remota e sognante, in cui tutto è leggerezza, evocazione, simbolo. Ecco ritornare l’irruenza di danze che riecheggiano andamenti di valzer o di mazurca ci riporta in un clima festoso e carico di energia. Sappiamo con certezza che Schumann aveva già composto buona parte del materiale utilizzato per queste danze. Anche se non integralmente, furono riprese una raccolta di 6 valzer risalenti al 1828 e mai pubblicati e una di 8 polacche per pianoforte a 4 mani risalenti al 1829-30 ed edite solo nel 1933. Il finale si apre con una chiara melodia in maggiore, a cui risponde il ritorno del primo di questi dodici quadretti. La sovrapposizione di queste due melodie si ripete sino ad arrivare alla dissolvenza completa. La magia si dilegua poco a poco in un clima evanescente e gli ultimi suoni, eseguiti in pianissimo, paiono evaporare, riassorbiti dal silenzio che ci accoglie come un luogo incantato dove risuona tutta la musica possibile: un silenzio pieno di reminiscenze e carico di forti emozioni.

La madre di Schumann, dopo aver udito questa composizione, scrisse al figlio. Queste pagine rivelavano la sensibilità e la profondità delle intuizioni di questa donna che si assoggetta, pur senza comprendere, alle scelte del figlio, ormai completamente votato alla musica: “Weisener mi ha suonato Papillons sul suo vecchio pianoforte; non posso lasciarmi guidare che dalle mie impressioni, perché non capisco una nota, ma c’è qualcosa in questo pezzo che mi ha fatto venire le lacrime agli occhi, e soprattutto la fine, che mi ha immerso in una grande e profonda malinconia. Gli accenti che si allontanano, che si spengono, sono l’immagine della vecchiaia: ogni anno, un suono spira, fino al giorno in cui non si sentiranno più.”

 

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