L’Ouverture ci immette nell’atmosfera passionale sin dalle prime note: tre accordi squarciano il sipario, subito seguiti dalla melodia, ricca di cromatismi che sembrano renderla faticosa nel suo svolgersi, tortuosa e presaga della drammatica vicenda che seguirà. Gli archi sostengono il canto con disegni vibranti di note ribattute, che accentuano il pathos. Anche quando l’orchestra pare spegnersi e si levano solo alcune voci in eco, non è ancora la pace. E’ solo un attimo di doloroso abbandono prima di un nuovo risorgere delle tensioni e dell’energia gigantesca che prorompono da un pezzo straordinario. Il circolare continuo di un’idea tematica, calda e appassionata, rende ancor più compatta l’ouverture e cattura l’ascoltatore, imprigionandolo in uno stato d’animo d’attesa. La conclusione giunge come un progressivo assopimento: l’orchestra si riduce a un piccolo gruppo di strumenti, l’intensità è ridotta al minimo, un rallentando introduce il passaggio cromatico che aveva aperto l’intero brano e, pianissimo e lentamente, si giunge agli ultimi accordi gravi e tenuti che sembrano simboleggiare l’ineluttabilità del fato.
Manfred appare un’eroe senza tempo e, nel suo titanismo e nella sua ricerca della verità, incarna piuttosto un personaggio universale non specificamente tedesco. Attratto dalle tenebre e dalla dannazione, al tempo stesso vittima e artefice del proprio destino, sembra una proiezione poetica dello stesso Schumann, sempre in bilico tra la luminosa attività creatrice e il buio della pazzia, tra l’amore sviscerato della vita e la vertigine della morte, che lo porterà anche a tentare il suicidio, gettandosi nelle acque del Reno, in una notte di Carnevale del 1854.