Il Trillo più famoso, quello del Diavolo
Nacque a Pirano ovvero Pirano d’Istria il 12 aprile 1692. Violinista e compositore: il suo nome é legato alla sua opera più famosa ovvero la celebre sonata per violino in sol minore “Il Trillo del Diavolo”.
Entrò dapprima alla scuola dell’ Oratorio di San Filippo Neri, ma essendosi ben presto distinto per le sue brillanti disposizioni, fu inviato a Capo d’Istria per completare i suoi studi al collegio dei padri delle scuole. Fu lì che ricevette le prime lezioni di musica e violino. L’arte della scherma gli divenne egualmente familiare, tanto che in poco tempo superò il suo maestro.
I suoi genitori avevano creduto di poterlo far entrare come francescano nel monastero dei minoriti, ma non potendo riuscirvi, lo mandarono, nel 1710, all’università di Padova per studiarvi la giurisprudenza e intraprendere la carriera di avvocato. Le sue grandi capacità gli resero questo studio così facile che ebbe anche il tempo di perfezionarsi nella scherma e di segnalarsi per parecchi duelli. Questa passione divenne tanto forte che Tartini volle andare a Parigi o a Napoli per divenire maestro d’armi, e avrebbe certo messo in atto questo progetto senza esitare se non si fosse innamorato di una damigella a cui dava lezioni e che sposò poi in segreto. Questo matrimonio gli attirò la collera dei genitori che l’abbandonarono al suo destino. Tartini si trovò, pertanto, tanto più imbarazzato, visto che appartenendo sua moglie alla famiglia del vescovo di Padova (Giorgio Cornaro), aveva da temere la persecuzione di quest’ultimo. Non gli restò altra scelta che lasciarla a Padova e fuggire a Roma, travestito da pellegrino. Non trovando sicurezza in nessun luogo, errò di città in città. Il convento dei minoriti ad Assisi, il cui guardiano era un suo parente, gli offrì infine un asilo sicuro contro l’ira del cardinale.
Dimorò due anni in questo monastero e si applicò allo studio del violino che aveva quasi completamente trascurato a Padova. Le lezioni di padre Boemo, celebre organista di questo convento, completarono la sua iniziazione all’arte della musica. Un altro vantaggio che ebbe per lui questo ritiro isolato, fu il totale cambiamento del carattere. Da violento e superbo che era, divenne amabile e modesto e perse per sempre, grazie a questa vita tranquilla, i difetti che erano stati all’origine di tutte le sue sventure. Il suo nascondiglio era rimasto a lungo sconosciuto; ma un incidente imprevisto lo fece scoprire: suonando il violino nel coro della chiesa, un colpo di vento sollevò la tenda che lo nascondeva alla vista dei presenti e fu riconosciuto. Tartini si credette perduto, ma quale fu la sua sorpresa quando seppe che il cardinale l’aveva perdonato e lo cercava per condurlo nelle braccia della sua sposa!
Di ritorno a Padova, fu chiamato a Venezia per far parte di un’accademia che doveva nascere sotto gli auspici del re di Polonia. Vi si recò con la sua sposa, ma lì ebbe occasione di ascoltare il famoso violinista Veracini e fu tanto colpito dalla sua tecnica ardita e nuova che preferì lasciare la città l’indomani stesso, piuttosto che entrare in concorrenza con lui. Inviò la sua sposa a Pirano, presso suo fratello e si ritirò ad Ancona per dedicarsi liberamente allo studio. È a partire da quest’epoca (1714) che inventò un modo nuovo di suonare il violino ed è sempre nello stesso periodo che fece la scoperta del fenomeno del terzo suono (toni risultanti o toni di Tartini) ovvero della risonanza della terza nota dell’accordo, quando si fanno sentire le due note superiori.
Nel 1721 fu messo a capo dell’orchestra di Sant’Antonio di Padova, questa cappella, una delle meglio assortite d’Italia, aveva quaranta musicisti, di cui sedici cantanti. Nel 1732 fu chiamato a Praga per l’incoronazione dell’imperatore Carlo VI,. Vi rimase per tre anni con il suo amico Antonio Vandini, violoncellista al servizio del conte Kinsky. È in questa città che Quantz lo sentì, e ne parlò in questi termini:
« Tartini è un violinista di prim’ordine, ricava dei suoni molto belli dal suo strumento, le sue dita e il suo archetto gli obbediscono egualmente bene, esegue i passaggi più difficili senza pena, fa con perfezione e con tutte le dita, trilli e anche doppi trilli e suona molto nel registro acuto, ma la sua esecuzione non ha niente di toccante, il suo gusto non è nobile e spesso è del tutto contrario alla buona maniera. »
Tartini ha senza dubbio saputo acquisire in seguito dal punto di vista dell’espressione e del gusto ciò che gli mancava allora, a giudizio di Quantz, poiché, ogni volta che sentiva suonare con destrezza, ma senz’anima, diceva: «questo è bello! Questo è difficile, ma non parla all’anima!». Da Praga tornò a Padova con il suo amico Vandini. A partire da quest’epoca nulla poté più convincerlo ad accettare di mettersi al servizio di uno straniero, per quanto vantaggiose fossero le proposte che gli venivano fatte. Nel 1728 fondò a Padova una scuola di musica e pochi maestri hanno formato così tanti buoni allievi. Lo si chiamava il maestro delle nazioni. La sua scuola ha fornito grandi musicisti a Francia, Inghilterra, Germania e Italia. Pagin si recò espressamente a Padova per formarsi sotto la sua direzione. I suoi altri allievi furono Nardini, Pasqualino Bini, Alberghi, Domenico Ferrari, Carminati, Madame Sirmen e Lahoussaye e Capuzzi. Oltre tali nomi, deve essere ricordato, fuori dalla scuola strettamente violinistica, il più famoso dei suoi allievi, il grande compositore Antonio Salieri, che da Tartini prese lezioni durante i suoi anni giovanili a Venezia. Sembra che la moglie di Tartini fosse una vera Santippe a questo riguardo e che egli avesse per lei la pazienza e la dolcezza di un Socrate: nutriva più famiglie indigenti e fece allevare più orfani a sue spese. Dava anche lezioni gratuite a quelli che volevano apprendere la musica e non avevano mezzi per pagarlo. Il posto che occupò per trent’anni, non gli rendeva che 400 ducati e non era obbligato a suonare che alle feste, ciò nonostante, non lasciava passare una settimana senza suonare più volte.
In età molto avanzata, fu colpito dallo scorbuto. Nardini, suo allievo favorito, partì da Livorno alla notizia della sua malattia e gli prodigò le sue cure fino all’ultimo momento. Tartini morì il 26 febbraio 1770. Aveva lasciato tutti i suoi scritti al suo protettore il conte di Thurn und Taxis e aveva chiesto a padre Colombo di pubblicare il suo trattato del suono. Il suo corpo fu deposto nella chiesa di Santa Caterina, una cerimonia funebre, ordinata dal suo successore, Giulio Meneghini, fu celebrata in suo onore nella chiesa dei serviti. L’abate Fanzago pronunciò il suo elogio e la cappella di Sant’Antonio eseguì un requiem di composizione di Vallotti.
Liberamente tratto da wikipedia.