“Eia, mater, fonsamoris”
Lo Stabat Mater è uno degli emblemi della poesia religiosa medioevale. La sua intensità quasi epica, la drammatica contemplazione del dolore lo hanno reso fin dal XIV secolo una delle più amate espressioni della devozione religiosa popolare. Il testo della Sequenza è per lo più attribuito al francescano Jacopone da Todi (vissuto nel XIII secolo) anche se non mancano altre illustri attribuzioni: da San Gregorio Magno (m. 604) a Innocenzo III (M. 1216), da Bernardo di Clairvaux (m. 1153) a San Bonaventura (m. 1274). La diffusione dello Stabat Mater è da collegare con l’affermazione del culto della Madonna Addolorata, iniziato nell’XI secolo e culminato con la nascita, nel 1233, della fondazione fiorentina della “Compagnia di Maria Addolorata” detta anche dei Servi di Maria o dei Serviti. Com’è noto il Concilio di Trento, che accolse solo quattro delle numerosissime sequenze composte nei secoli precedenti, bandì lo Stabat Mater dalla liturgia cattolica. Nei secoli successivi si ebbero tuttavia diverse manifestazioni organizzate della devozione mariana legata al momento della croce. Tra esse fu assai significativa la “Confraternita dei Sette Dolori” approvata dalla Curia Roma nel 1645; nel 1668 la S. Congregazione dei Riti permise all’Ordine dei Serviti di celebrare la messa votiva dei Sette Dolori della Beata Vergine. La mai sopita venerazione popolare per l’inno indusse quindi Benedetto XIII a reintrodurre, nel 1727, il bellissimo testo nel messale. Inizialmente il culto dell’Addolorata, cui lo Stabat Mater è sempre stato intimamente legato, era inserito nelle celebrazioni della Settimana Santa, in particolare nel rito della Via Crucis. Successivamente la celebrazione è stata spostata al Venerdì prima della Settimana Santa, ed infine nella prima quindicina di settembre, data che ancora oggi è il principale riferimento celebrativo, anche se il culto dell’Addolorata continua, in diverse località, ad essere diffuso nella Settimana Santa. Idealmente il testo, ispirato alla profezia di Simeone, Luca 2, 33-35, è diviso in due parti. La prima, Stabat Mater dolorosa, è una meditazione oggettiva sulle sofferenze di Maria, madre di Gesù, durante la Crocifissione e la Passione di Cristo. La seconda, che inizia con le parole “Eia, mater, fonsamoris”, ha invece la forma di un’invocazione in cui l’autore si rivolge a Maria perché lo renda partecipe al suo dolore di madre ed alle sofferenze patite da Gesù durante la crocifissione e la Passione nella speranza di condividere la gloria del Paradiso. Il testo dello Stabat Mater è sempre stato una composizione popolarissima soprattutto perché nei secoli è sempre accompagnato il rito della Via Crucis e la processione del Venerdì Santo. Un canto amatissimo dai fedeli, non meno che da intere generazioni di musicisti colti come Haydn, Vivaldi, Pergolesi, Rossini. (Aronne Mariani)