La Sonata in do # minore op.27 n.2 è nota al grande pubblico come “Al chiaro di Luna”. Con molta probabilità questa definizione venne coniata dal poeta Ludwig Rallstab, amico di Beethoven e futuro autore delle parole di molti Lieder di Franz Schubert: a suo avviso, il primo tempo della sonata evoca infatti una passeggiata al chiaro di luna, sul lago dei Quattro Cantoni. Tanto interesse per questa sonata lasciò sorpreso Beethoven, che avrebbe dichiarato al suo allievo Carl Czerny: “Non si parla altro che della sonata in do diesis minore; io ne ho scritte di migliori, come quella in fa diesis, che è tutt’altra cosa”.
L’Adagio iniziale, che apre la sonata, esce fuori dagli schemi possibili. Beethoven stesso scrisse che “si deve suonare tutto questo pezzo delicatissimamente e senza sordini”. Una serie di terzine (A), che arpeggiano l’accordo di do diesis minore, introducono il tema (B), che è quasi una marcia funebre, ma più intima e sognata. Il tutto poggia su tre soli elementi: le terzine, le note tenute del basso e un tema formato da pochissime ed esili note. Eppure, il brano crea fin da subito un’atmosfera ben distinta. Ed è proprio il caso di parlare di atmosfera, perché a caratterizzare il brano non è la sola melodia, né tanto meno il basso o le terzine. Ciò che unisce questi elementi in un unico inconfondibile è un parametro nuovo, che Beethoven va scoprendo: il timbro. E, più specificamente, il timbro del pianoforte. La pagina è pervasa da sonorità quasi romantiche.
Si vedano, nella sezione centrale, come le terzine salgono dal loro abituale registro per abbandonarsi in un arabesco timbrico (C); oppure l’attenzione posta da Beethoven alla risonanza delle corde; o, ancora, quando la testa del tema, sul finire del movimento, è suonata dalla mano sinistra nel registro grave, e in questo registro si spegne. Sembra quasi che sia il timbro a suggerire le frequenti modulazioni, da mi maggiore a mi minore, a do maggiore fino a si minore, quasi Beethoven volesse provare registri diversi.
Dopo un Allegretto molto breve, in forte contrasto di atmosfera con il primo movimento, ecco il finale in forma sonata con tre temi. Il primo (A), impressionante per potenza timbrica, è formato da una serie di arpeggi ascendenti, furiosamente interrotta da due accordi sforzati che cadono nell’ultimo accento debole della battuta. Il secondo sembra quasi il controsoggetto melodico del primo (B). L’ultimo, un susseguirsi vorticoso di accordi puntati, si caratterizza per i frequenti cambi di registro (C). Lo sviluppo del brano è quasi interamente affidato al secondo tema (spessissimo suonato dalla mano sinistra).
Articolo originale tratto da : www.sapere.it