Suonare ad orecchio o con lo spartito?

Questo è una questione che divide profondamente due categorie di musicisti che sono gli “scolarizzati”, ovvero coloro che hanno studiato la teoria musicale dalle basi, che sanno solfeggiare, e che hanno seguito un percorso canonico, da i “non scolarizzati”.

Per entrambi lo scopo è il medesimo e in ogni categoria possiamo trovare incredibili esecutori. Ricordiamo per esempio che Buddy Bolden, il probabile iniziatore del Jazz, non sapeva leggere gli spartiti musicali e si affidava esclusivamente all’improvvisazione.

Abbiamo riportato questo esempio proprio perchè il Jazz è stato, ed è tutt’oggi, contraddistinto da questo fenomeno: musicisti che suonano splendidamente senza conoscere la scrittura musicale.

In realtà le due categorie sono contraddistinte da due diversi approcci nella fase di apprendimento ma non nella fase di esecuzione visto che anche lo scolarizzato, soprattutto quando si trova di fronte ad un brano tecnicamente complicato, prima lo legge, poi lo impara a memoria, per non dover essere schiavo della lettura durante l’interpretazione.

Qualcuno ha azzardato delle analogie con il disegno, asserendo che lo scolarizzato è come colui che esegue un disegno tecnico, seguendo delle regole, mentre l’altro lascia che la sua mano produca liberamente il disegno.

Effettivamente l’insegnamento musicale tradizionale prepara ad un modo di suonare che ha una logica più vicina al disegno tecnico, tutto è “calcolato”: l’esecutore deve leggere e suonare fedelmente ciò che è scritto. La qualità imprescindibile è la capacità di leggere. Naturalmente il saper leggere non è sufficiente senza il supporto d’una solida tecnica strumentale che permette l’esecuzione di ciò che è scritto. L’interpretazione, la capacità di “recitare” la musica, è la qualità che esalta lo strumentista. Senza lo spartito, però, non può suonare: è come il disegnatore tecnico privato dei suoi attrezzi.

Dobbiamo anche aggiungere un’ulteriore considerazione ovvero che esistono vari generi che possono essere più o meno impegnativi, ognuno dei quali ha una logica e obiettivi differenti e che richiede, agli esecutori, preparazioni e qualità musicali diverse.

Consideriamo per esempio dei generi musicali molto diffusi e che si trovano più vicini all’immaginazione di chi non sa neanche come è fatto uno strumento ma che magari si mette a cantare o ad abbozzare due accordi con la chitarra.

La musica leggera, il blues e il rock richiedono qualità analoghe a quelle del disegno a mano libera: non si legge ma si suona ad orecchio. Gli accordi di un brano, ad esempio, non si leggono ma si devono “capire”. I ritmi più efficaci non si possono calcolare ma si devono “sentire”. Le parti melodiche devono passare dalla mente allo strumento, senza alcun calcolo o ragionamento. In questo caso, più che nozioni teoriche, allo strumentista occorrono qualità musicali come l’orecchio e il senso ritmico.

In definitiva però, questo sistema che sembra portare direttamente alla conclusione, ovvero alla produzione della Musica, comporta una scorciatoia che ci preclude alcuni utili percorsi.

Ci riferiamo alla possibilità di osservare la Musica da una prospettiva diversa che ci consente di ragionare, attraverso la scrittura, sulla sua dinamica, sulla tecnica esecutiva, su una visione globale dell’espressione che quando ci riferiamo ad autori di secoli prima, per esempio, diventa necessaria nell’economia globale dell’esecuzione.

Il suonatore ad orecchio impara degli schemi che consolida nel tempo e di cui resta prigioniero non consentendosi la possibilità di cambiare (jazzista nasce e resta per sempre).

Per concludere, ma lasciando la questione aperta ad eventuali interventi dei lettori, possiamo dire che di fronte ad una esecuzione, precisa, brillante ed emozionante nessuno di noi si chiede se il musicista abbia imparato ad orecchio o abbia letto uno spartito anche se lo possiamo immaginare.

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