L’aedo, nell’antica Grecia, era un cantore professionista, considerato alla stessa stregua di un profeta; veniva tradizionalmente ritratto come cieco, perchè nulla lo distraesse, perchè si affidasse direttamente alla divinità attraverso gli occhi dell’anima, attraverso la sua capacità metasensibile. La sua “sapienza” rendeva superflua la vista; era un “posseduto” che aveva il dio dentro e attraverso il quale le Muse parlavano.
L’aedo era depositario di una cultura che si tramandava oralmente e che durante le “esibizioni” riempiva l’uditorio; egli non disponeva di un testo scritto, dunque diveniva a sua volta compositore. La trasmissione orale richiedeva l’uso di un linguaggio chiaro e diretto, con similitudini, con un linguaggio contraddistinto da uno stile formulare, caratterizzato da ripetizioni, con la presenza in grande quantità di appellativi come i patronimici, nonché dei cosiddetti topoi, cioè luoghi narrativi. Nel caso in cui l’aedo avesse dimenticato la strofa successiva, poteva “indugiare” su quella che stava ancora cantando usando i ferri del mestiere; gli aedi erano soliti narrare i poemi non per intero, per ovvie ragioni di tempo, ma a pezzi, e dovevano in ogni modo possedere una buona memoria e una grande immaginazione. Esistevano scuole di aedi dentro le quali si tramandavano di generazione in generazione i propri canti; particolarmente famosa era quella degli Omeridi, nell’isola di Chio, che si vantavano di discendere dallo stesso Omero. (Tratto da Wikipedia)