Il Corale della Nona di Beethoven

“Egli sa tutto, ma noi non possiamo ancora capire tutto, e passerà ancora molta acqua sotto i ponti del Danubio prima che tutto ciò che ha creato quell’uomo sia compreso dal mondo”(F.Schubert su Beethoven)

beethoven-lLa nascita di questo capolavoro musicale fu lunga e faticosa. La nona rappresenta la summa del mondo interiore di Beethoven e della sua concezione filosofica della Vita. Dopo la Settima e l’Ottava, passarono alcuni anni prima egli si accingesse a comporre e questa volta mise ancora di più se stesso. Accanto alle prime bozze dello Scherzo e dell’Adagio furono trovate le seguenti parole: ” Sinfonia al principio soltanto quattro voci; due violini, viola, violoncello, bassi mezzo forte, con altre voci, se possibile, lasciare entrare man mano ogni altro strumento Adagio cantico. Canto religioso per una sinfonia negli antichi modi: Herr Gott dich loben wir. Alleluja in un modo indipendente o come introduzione ad una fuga. Forse in questa seconda maniera l’intera sinfonia potrebbe essere caratterizzata con l’entrata delle voci nel Finale o già nell”Adagio.”

In quegli anni Beethoven cambiò molto. La sordità ormai totale lo isolò dal resto del mondo e la sua unica possibilità di comunicare furono carta e matita. Anche il suo carattere, ombroso e diffidente, divenne ulteriormente cupo e molti degli amici di un tempo non fecero più parte della sua esistenza. Accanto a lui soprattutto giovani che lo circondano di devozione e ammirazione sconfinata. Nelle sue lunghe passeggiate solitarie si recava spesso al Prater, per godere del contatto della natura a lui così cara. Là incontrerà Schubert, che dirà agli amici: “Egli sa tutto, ma noi non possiamo ancora capire tutto, e passerà ancora molta acqua sotto i ponti del Danubio prima che tutto ciò che ha creato quell’uomo sia compreso dal mondo”.

In un quaderno del 1822 Beethoven informa un amico di voler comporre due sinfonie: una, commissionatagli dalla Società Filarmonica di Londra, solo strumentale; l’altra con un coro finale. Quest’idea venne poi trasferita alla Nona che, come ben sappiamo, si conclude con l’ode alla gioia di Schiller. La composizione dell’opera terminò nel 1824, dopo otto lunghi anni di faticoso lavoro.

La Nona non si può considerare semplicemente una Sinfonia in quattro tempi, ma come un tutt’uno compositivo in cui un unico grande ideale prende forma attraverso stadi diversi e via via superati per giungere alla glorificazione finale. La ricerca del senso dell’esistenza, o meglio l’esistenza stessa nella sua più intima rivelazione, si manifesta lentamente, toccando le corde più profonde e insondate della vastità dell’animo umano. Disperazione, ribellione, rinuncia, e poi, ancora dolore, rabbia, fatica; sempre più in alto, sino a giungere più in alto dove tutti gli spiriti sono accomunati dal grande ideale della giustizia universale. La gioia traboccante e magnifica nasce dalla vittoria sull’imperfezione e sulla limitatezza di ciò che è immanente e si espande senza vincoli di tempo e di spazio nell’universo ritrovato, in cui l’umanità glorifica se stessa e il suo creatore.

E’ a questo punto che l’orchestra, pur con tutte le sue innumerevoli voci, non basta più. Beethoven ricorre al canto dell’uomo per esprimere il supremo grado di perfezione cui tende la sua opera. La voce si lega indissolubilmente alla musica in un momento di grande tensione espressiva, in cui il canto viene introdotto come il livello massimo di comunicazione, più elevato rispetto all’espressione degli strumenti.

Sappiamo che Beethoven manifestò una certa insoddisfazione per il risultato ottenuto nel finale della Nona e che fu propenso a eliminare il Coro in una revisione posteriore. La presenza delle voci in una composizione sinfonica non era una novità assoluta in quegli anni; Beethoven conosceva probabilmente alcune opere di questo genere e si pensa che sia giunto a concepire il suo finale non tanto, come vorrebbe Wagner, perchè aveva raggiunto le estreme possibilità espressive della musica pura e doveve quindi far uso della parola cantata, ma piuttosto perchè, alla luce degli ideali kantiani, la parola poteva conferire quella chiarezza e quella lucidità razionale di cui un tale messaggio sembrava necessitare.


Analisi ed Ascolto

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