I Preludi furono scritti inizialmente come introduzione a una composizione corale, Les Quatre Elements, sul testo di un poeta provenzale, Joseph Autran, e divisi in quattro episodi: La Terre, Les Aquilons, Les Flots, Les Astres.
L’orchestrazione fu curata da Conradi, mentre l’introduzione da Raff e perfezionata dallo stesso Liszt nel 1851-1854. Quando il musicista decise di utilizzare l’introduzione come composizione a sé stante, avvertì la necessità di trovare un altro programma da affiancarle. La scelta cadde su un’omonima composizione di Lamartine facente parte della raccolta intitolata Meditations poetiques, in cui vi sono assorte considerazioni sulla vita pastorale e sullo spirito guerresco mescolate in un fittissimo intreccio. Solo su questo punto le due opere hanno un’effettiva corrispondenza. Liszt, infatti, autore egli stesso del programma di sala, così dice: “Les Preludes”. Che cos’è la vita se non una serie di preludi a un inno sconosciuto, la cui prima e solenne nota viene intonata dalla morte? Amore è l’alba di tutte le esistenze; ma qual è il destino la cui prima delizia di felicità non viene interrotta bruscamente dalle tempeste, le cui dolci illusioni non vengono dissipate da un vento di morte, consumandosi come in un lampo? E qual è quell’anima così crudelmente ferita che, finalmente uscita da una di queste tempeste, non cerca di alleviare i suoi ricordi nella calma serenità della vita agreste? Tuttavia, l’uomo non si consegna a lungo al piacere di quella benefica quiete che ha gustato per la prima volta in seno alla natura e, quando “la tromba annuncia il segnale d’allarme”, egli prende il suo posto, non importa quanto sia pericolosa la lotta che lo chiama tra le sue schiere, perché egli nel combattimento ritroverà la piena coscienza di sé e delle sue forze. I temi principali che vengono utilizzati in quest’opera derivano in buona parte dalle sezioni che componevano l’opera corale mai pubblicata.
Il primo tema appartiene alla sezione Les Astres e si iscrive pienamente nella logica trasformatrice di Liszt, comparendo lungo tutto il pezzo, ma in soluzioni molto diverse tra loro. La cellula tematica generatrice, costituita da tre soli suoni, inquietante e interrogativa, compie la sua prima apparizione nell’introduzione, fino a sfociare nell’Andante maestoso in cui viene declamata dai fiati su un arpeggiare degli archi che pare rievocare le parole di Lamartine “Dimentichiamo, dimentichiamo: è il segreto della vita. Vieni, canta, distogli il mio sguardo dal passato e immergi l’anima mia nel cuore degli eventi!”. Quando si affaccia un nuovo motivo, tenero e dolcissimo, che racchiude ancora la cellula tematica, è l’amore con i suoi turbamenti e le sue intime emozioni che dà inizio all’avventura dell’uomo. Corni e viole cantano una lievissima melodia, mentre l’arpa sostiene questo canto che via via contagia tutta l’orchestra in un crescendo carico di appassionata eccitazione. E’ ancora Lamartine che con le sue parole suggerisce immagini fortemente evocative: “Più giovane che la giovane Aurora più limpida di quelle pure acque a gioia s’apre or ora l’anima tua di cui mai nessun soffio ha offuscato il vago sereno”. La seconda parte, Allegro ma non troppo e Allegro tempestoso, attacca subito, ed è la più concitata e drammatica di tutto il poema. La morte distrugge ogni illusione e l’atmosfera da idilliaca si trasforma in terribile, ricca di passaggi cromatici e di bruschi sbalzi; la cellula tematica appare cupa e tormentosa nel modo minore, unita a marcati squilli di tromba. Poi il poco rallentando, in cui i soli archi eseguono un arpeggio cromatico, lascia presagire che la quiete sta sopraggiungendo. E’ la calda notte dell’oboe che rinnova l’incanto cantando, dolce ed espressivo, l’idea tematica nella sua forma primigenia. Questo intenso passaggio ci introduce nella terza parte, Allegretto pastorale:la scena che si schiude dinanzi a noi è deliziosa e animata da una primaverile gaiezza, giocata su un tema saltellante che ci viene proposta prima dal corno inglese, poi dall’oboe e infine, per esteso, dal clarinetto. Ma le dolci amenità della vita agreste non appagano l’animo umano che tende a ben altri traguardi. Il tema dell’amore ricompare più fremente e ansimante, l’orchestra intera ribolle di una ritrovata energia, più forte e incontenibile, che travolge ogni sentimento per sfociare nella suprema e ultima lotta. Con l’Allegro marziale animato Liszt ci coinvolge in un turbinio violento e carico di tensione: “La tromba ha lanciato il segnale d’allarme: “All’armi” e l’eco risponde lontano: “All’armi!” / Improvvisi sulla piana gli sparsi squadroni./ Più presti dell’aquilone piombano d’ogni dove,/E sui fianchi fitti delle mortali legioni/ Si avvinghiano come ali tenbrose”. Le immagini di battaglia che il poeta richiama con i suoi versi sono per Liszt simbolo della lotta dello spirito per la risoluzione finale del proprio destino. Gli squilli di trombe e di corni, che accendono lampi di luce sul fluire degli archi, sono continuamente interrotti dai tromboni con un effetto di intensa drammaticità. E quando infine irrompe il tempo di marcia, fanno il loro ingresso anche tamburi, fiati e grancassa per accentuare ulteriormente il clima eroico e di grandiosa apoteosi con cui si chiude il poema di Lamartine. “Tutto nasce, tutto passa, tutto arriva/ al termine ignorato dalla sua sorte:/ all’Oceano l’onda lamentosa,/ ai venti la foglia fuggitiva,/ l’amore alla sera, l’uomo alla morte”.